lunedì 2 aprile 2012

Marjane e l'Integrità

Quasi per gemmazione Adrienne Rich e la sua “Integrità”, la poesia postata qualche giorno fa, mi hanno portata a pensare ad un'altra appassionata narratrice/ricercatrice di Integrità, Marjane Satrapi.

Questo frammento del suo Persepolis, mi pare prezioso:


Integro vuol dire intero, non diviso, non leso. Chi è integra è pura.
Pura: aggettivo pericoloso e spesso mistificato, credo. 
Troppo spesso inteso come sinonimo di semplicità granitica, tutta d'un pezzo, resistente alle ibridazioni.

Non è questa l'Integrità in cui voglio credere. Sa di integralismo e, come molti altri  -ismi.. puzza.

L'integrità ha a che fare con la complessità e con la possibilità di integrare le diverse parti di sé, senza estromissioni e rigetti.
E' molto più che coerenza. In fondo la coerenza è aderenza.
Mi sembra che l'Integrità, invece, abbia a che fare con la disponibilità a contaminarsi e rinnovarsi, rimanendo fedeli a se stesse anche quando questo vuol dire essere fedeli al bisogno di cambiare e fare la fatica di intrecciare il vecchio e il nuovo, senza scorciatoie.


Mentire, mentirsi e volgere a proprio favore i punti cardine di un sistema di potere e di pensiero ancora troppo misogino che vuole le donne intatte e dis-integrate, è spesso una scorciatoia possibile.

Questa è la scorciatoia che utilizza la piccola Marjane di Persepolis, in questo frammento. 
E' una scorciatoia anche barattare la propria autenticità con un controllo mascherato da “protezione” o, perfino, un posto di lavoro, un ruolo in una fiction o una poltrona elettorale "in rosa"  con qualche favore sessuale. 


A volte si ha l'impressione che sia l'unica scelta e quell'impressione è in quell'impressione c'è il segno più inequivocabile della povertà di un Paese. 

Marianne Satrapi contrappone all'integralismo il valore dell'Integrità, di cui la figura della nonna è la più tenace espressione.




Questa nonna mi fa pensare ad  alcune donne che ho incontrato lavorando in un centro antiviolenza: donne che si accingono a denunciare violenze gravi, a volte gravissime, di cui spesso hanno segni inconfutabili, ma che temono di confondere i particolari, le date, la cronologia, perchè non vogliono “inventare niente” - dicono - vogliono dire solo e soltanto quello che è accaduto così come è accaduto, nulla in più - ripetono - neppure un'inezia.
Prendono appunti, passano notti insonni per ricostruire i ricordi traumatici prima di andare dai carabinieri, perché temono che la memoria le tradisca e confonda le cose.
In quei momenti, ai loro occhi sembra quasi essere più grave il rischio di aggiungere un particolare insignificante alla denuncia di fatti gravissimi che la violenza subìta.

Noi tendiamo a pensare che questo si debba alla dinamica della violenza, ai sensi di colpa che suscita nella vittima e, qualche volta, al bisogno residuo di salvare l'altro, da se stesso.

Eppure io credo che ci sia anche dell'altro.

Forse sulla soglia della Libertà, la propria libertà, l'Integrità è l'unica cosa di cui non si può fare a meno, l'unico bagaglio che non si può non portare.
L'unica pietra d'angolo su cui si sente di poter costruire.



La violenza è soprattutto negazione dell'altro/a, disconoscimento della sua verità.
Ripagare con la stessa moneta, quella della menzogna, anche se minima, vorrebbe dire farne a meno, ed è un prezzo che non ci si può permettere di pagare. 


1 commento:

  1. Anch'io ammiro molto Marjane Satrapi, ed è così bella questa riflessione sull'integrità. Riflettere sul senso delle parole è importante, è vitale per la lingua e per il pensiero, e sono molto felice di leggere post come questo, grazie!

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