giovedì 26 luglio 2012

La sfida del nodo

Ho tra le mani un libro forte come solo le narrazioni che dicono la vita dall'interno, dalle viscere, possono esserlo. 
E' un libro che parla di un legame e del suo linguaggio scritto sul corpo
Non aggiungo altro, vi lascio alla potenza di queste parole:
 "Per i tessitori di tappeti e di stoffe di tutto il mondo, la sfida del nodo sta nelle regole della sua inesauribile varietà. I nodi possono variare ma devono essere fatti con criterio. Un nodo informe è un garbuglio. (...)
La cosa interessante dei nodi è la loro complessità formale. 
Anche il più semplice nodo, il trifoglio, con i suoi tre lobi grosso modo simmetrici, possiede sia una sua bellezza matematica che una bellezza artistica.
Un unico laccio d’amore legava me e Louise. La corda che passava intorno ai nostri corpi non faceva brusche involuzioni né giravolte sinistre. I nostri polsi non erano legati e non c’era cappio intorno ai nostri colli. (…)
Tra il Tre e il Quattrocento, in Italia uno dei passatempi preferiti consisteva nel legare due lottatori con una corda robusta e farli battere fino alla morte. E spesso finiva con la morte, perché il perdente non poteva ritirarsi e il vincitore difficilmente lo risparmiava. Questi prendeva poi la corda e ci faceva un nodo. Bastava che andasse per le strade facendola oscillare per estorcere denaro ai passanti spaventati.
Non voglio essere il tuo passatempo né che tu sia il mio. Non voglio prenderti a pugni solo per il gusto di farlo, ingarbugliando le semplici funi che ci legano, mettendoti in ginocchio per poi sollevarti di nuovo. Lo specchio evidente di una vita governata dal caos.                                                                                            Voglio che il cerchio intorno ai nostri cuori sia una guida e non una minaccia. Non voglio tenerti più stretta di quanto tu possa sopportare. Né voglio che le funi si allentino, che il filo ceda da un lato, che ci sia corda a sufficienza per impiccarci.

 Jeanette Winterson, Scritto sul corpo, 1992. P. 90






lunedì 16 luglio 2012

La Rosalia "viva" e il festino dal tetto


Quest’anno ho visto il festino scorrere come un fiume di luci da una terrazza su Corso Vittorio   Emanuele - “il letto” - su cui puntualmente il carro della Santuzza viene accompagnato fino al Mare.

La Rosalia di quest’anno era una donna di movimento. 
 Rizzuti, lo scultore che l’ha re-inventata per la Palermo di quest’anno, le ha dato muscoli e linee morbide. 
Si aveva l’impressione che incedesse elegante, integra, essenziale, fiera e, nello stesso tempo, fragile: esposta e disposta a tutte le contaminazioni vitali.

Una Rosalia che ho sentito impastata con la terra e l’acqua, modellata da vento e fuoco incontro all’aria rovente carica di salsedine.

Una donna prima di tutto.
Una donna che con la sua creta mi fa sentire la mia carne.

La sua bellezza mi è parsa flessuosa e “rugosa”, disposta a indossare le linee curve del tempo.
La bellezza di una donna vera con le mani e i piedi sporchi di terra. 
Una donna che può permettersi di percorrere e ripercorre quelle linee, ogni volta che c’è bisogno di sentire la vita.


Qualche giornalista di poca fantasia ha definito la Rosalia di quest’anno "sexy" (tanto per cambiare!). 
Bisogna capire: sono tempi di carestia questi per chi deve cercare e scegliere le parole. 
Ci si affida alla ripetizione di termini "da copertina" come alle scatolette di cibo precotto in tempo di guerra.

Salvatori Rizzuti ha commentato così:
"...Un tempo erano le immagini che sintetizzavano i concetti e facevano presa sulla percezione collettiva; oggi (probabilmente perché non si è più abituati alle buone immagini), fanno presa i titoli da scoop, che distorcono la verità delle cose. Io, che lavoro e mi esprimo con le immagini, voglio continuare a sostenere il loro primato rispetto a ogni altra forma di comunicazione (...) invito tutti i cittadini a venire a constatare dal vivo la "sensualità" dell'opera, che è ben altro concetto rispetto a "sexy". La sensualità appartiene alla bellezza, alla natura, al corpo, alle forme pure, all'arte".

Porta Felice -  il traguardo di Rosalia sulla soglia del mare - era sovrastata da una luminaria circolare che per tutta la sera ha attirato la mia attenzione come una calamita. 

Foto Campolo/Palermo Today

La si potrebbe immaginare come un'aureola per Rosalia, ma tutte le volte che la riguardo - anche adesso, su questa foto - si sovrappone alla possibile aureola un altro simbolo, forse ancora più potente: la Vagina.  
Un'immagine forte che, come ogni simbolo che si rispetti, non oppone - sacro e profano, terra e cielo, sante e puttane, madri e donne – al contrario, mette insieme, chiude il cerchio.. e permette, finalmente, un passaggio che ri-genera.

Viva la "Rosalia viva" allora e.. Viva la Palermo che vuole rinascere.



lunedì 9 luglio 2012

Prima le donne e i bambini. Cronaca della mia disavventura su un treno non troppo “immaginario”.

Sono le 8 di sera, il mio treno dovrebbe partire alle 8,13. 
Il benvenuto alla stazione è un monitor che segnala la cancellazione di 4 treni.
Mi aspetta un’oretta di afosa attesa, penso.

Già, perché ci sono 35 gradi ed io sono arrivata trafelata, con una valigia appresso ed in tenuta da ordinario combattimento palermitano: capelli a sanfasò1, domati alla meno peggio da una forcina storta, “prendisole” e sandali. Di più non si sopporta.

Ma Trenitalia pare avere un moto di generosità: eccezionalmente il treno delle 8,08 per Messina fermerà anche a Bagheria, proprio dove devo andare io.
Qualcuno mi fa capire che se sono una di quelle che rischia di schiattare lì al caldo per più di un’ora nell’attesa di un treno utile, posso anche provare a salire, magari correndo. Grazie assai.
Io non ho ovviamente obliterato il biglietto, non ho fatto in tempo, ma intravedo il controllore sulla porta dell’ultimo vagone per cui - ore 8,08 in punto - cammino spedita verso di lui, così “me lo scrive” - penso - e non mi fa storie.
“Solo che”, il gentiluomo comincia a imprecare:
Devi aprire la porta, che fa non si capisce? Che ci vuole? Il disegnino? Ti pare che aspettiamo a te?

Il caldo ci fa venire fuori al naturale.
Ma talè a chistu2!
Mi fermo e, ancora da lontano, gli faccio notare che è il caso di darsi una calmata anche perché è Trenitalia che sta offrendo un disservizio, costringendomi a inseguire un treno in partenza, visto che il mio ed i successivi sono stati cancellati. Tra l’altro, non ho certo chiesto io di aspettarmi.
Entro comunque su questo benedetto treno e porgo il biglietto al gentiluomo agitato perché lo validi; ancora borbotta con un fare infastidito. 
Improvvisamente capisco perfettamente l’espressione “m’acchianò u sagnu n’tiesta3!”. Descrive pienamente il mio stato d’animo.

Ripropongo la storia del disservizio, lui farfuglia infuriato cose che neanche ricordo per bene: non è vero che ci sono treni soppressi e se anche è vero non li ha certo soppressi lui, lui deve finire il turno, il treno non può aspettare i porci comodi di certa gente.. ed altre amenità, ma non ha molta importanza.
Quello che ha veramente importanza è il tono: offensivo, saccente, inopportunamente confidenziale.. con un uso del  ostentato tu che non capisco e che mi irrita sempre di più.
Sembra un padre che riprende malamente il figlio dodicenne  un pò troppo “scanazzato”4  per i suoi gusti.

Le vorrei far notare che io non sono sua sorella e che non è assolutamente il caso che lei si rivolga a me in questo modo. Come diavolo si permette? – dico.
Risposta (quasi urlata): a si? va bene va bene, intanto tutte queste persone sedute qua ora arrivano in ritardo per aspettare te! La prossima volta resti a piedi, hai capito?

Chiude la porta della cabina di comando e mi lascia nel mio brodo tra gli altri passeggeri.
Brodo di “raggia a’màtula”5 perché l’interlocutore si è sottratto e il pubblico non è interessato al mio “allattariarmi”, visto che stavolta il problema non lo riguarda: sono io l’unica persona che avrebbe dovuto prendere il treno successivo soppresso, loro si trovano esattamente là dove dovevano stare e rischiano pure di partire quasi in tempo, visto che sono le 8,10 e  due soli minuti di ritardo per la partenza sono un evento straordinario sulle ferrovie dello stato. 
Lo sanno bene, che che ne dica il ferroviere gentiluomo di cui sopra.

Più tardi mia madre commenterà: “Vastasu! Però.. il fatto è che da lontano devi essergli sembrata una ragazzina!”.

L'apparenza della matricola fuori sede c'era tutta. Ok,d'accordo, ma la cosa dovrebbe consolarmi?
Domande sparse:
- Se da lontano, avesse visto un uomo, il ferroviere si sarebbe mai sognato di usare questi toni e questo atteggiamento?
- Se da lontano, avesse visto una donna “in tiro” (tacchi, stacco di coscia, tubino o tailleur e complementi d’arredo vari tipici della professionista, di fascino però), il ferroviere avrebbe trovato “conveniente” profondersi in un simile saggio di bon ton ferroviario?

E poi le domande per me, quelle forse più brucianti:
Perché mai l’unica “provocazione” che sono riuscita a tirare fuori, così.. d’istinto, lì per lì, è stata: “ma mi ha scambiata per sua sorella?”?!
Che c’entrano le sorelle? C’è forse una licenza sottile di trattare le sorelle - soprattutto quelle piccole - a pesci in faccia, dopotutto?
Tanto “un c’è cuosa6”, una sorella perdona, ci passa sopra, c’avi a fari?
Evidentemente si, la licenza c’è ed è pure ben consolidata nell’immaginario comune, non si spiegherebbero altrimenti battute come “Sé, A tò suoru!” o “Va riccillu a tò suoru”7 in risposta ad insulti e offese varie.

In fondo avrei potuto chiedergli se avessimo per caso fatto il militare insieme, nonostante io non ne avessi memoria. Invece no, lì per lì, dal magma della raggia è venuta fuori sono la solita sorella e il tentativo di dire che no, non poteva trattarmi come lei, perché io non sono come lei.
Eppure solo lei ho trovato dentro me in quel momento. Altro che raffinate riflessioni su Genere, “Generentole” e dintorni!
In seguito, scrivendo qui, ho anche fatto qualche “passo avanti”.
Avrete notato che ho paragonato il ferroviere ad un padre incazzato con il figlio ragazzino, ma mi chiedo adesso: perché? Forse che la relazione adulto-bambino è un ambito in cui, tutto sommato, un atteggiamento così arrogante e sprezzante può essere considerato “accettabile”? Certo che no, eppure..

E’ un vecchio trucco, dopotutto: Up- chiama down-. Messaggio ricevuto.
E dalla posizione down- scatta la guerra dei poveri o delle povere: “io non sono povera come gli altri (i bambini)/le altre(le donne deboli). Ergo, non mi puoi trattare così”.

Guerra che non risolve granché, come tutte le guerre. Ma che la dice lunga su quanto ancora bisogna combattere, in noi e fuori di noi. Anche quando di “questioni di genere” e di rapporti di potere ci si occupa tutti i giorni.
Insomma, dall’immaginario collettivo al savoir fair ferroviario il passo è breve, andata e ritorno.

Prego, prima le donne e i bambini! Si accomodino!
Ancora.

Ancora.. si, perché il viaggio è ancora lungo.


DIZIONARIETTO PER NON SICULI
  1. A sanfasò: in modo disordinato, "ad muzzum". Pare che abbia origine dal francese "sans façon = alla buonaIl mio sinonimo preferito: “all’ariulè”.
  2. Ma talè a chistu! Dai questo si capisce!
  3. m’acchianò u sagnu n’tiesta: mi è “salito”, ribollendo, il sangue alla testa.
  4. Scanazzato: difficile da tradurre, ma molto trasparente! Amunì! Di solito è sinonimo di "sbandato", "testa calda".. ma si fa presto a dare dello scanazzato anche a chi è troppo vivace/vitale e forse .."sanamente" selvatico" per mettersi in riga.
  5. Raggia a’màtula: rabbia (in ebollizione), ma inutile, fine a se stessa.
  6. un c’è cuosa8: non è successo nulla di importante.
  7. Va riccillu a tò suoru”: Vallo a dire a tua sorella.