venerdì 15 febbraio 2013

Amori difficili

Se siete in quel di Palermo, non perdetevi la mostra fotografica di Zanele Muholi, a Palazzo Ziino (via Dante, 53).
Avete ancora soltanto domani, 16 Febbraio, dalle 9,30 alle 19,30. 

Zanele Muholi, fotografa e attivista Sudafricana, racconta gli amori difficili di donne Africane lesbiche.
Tra le donne ritratte, molte sono state vittime di discriminazioni, violenze e stupri "correttivi" in quanto donne lesbiche.

Zanele Muholi ritrae identità ferite, ma forti. 
Soprattutto, racconta Amore. 
Nelle sue fotografie c'è intimità, c'è il quotidiano, la tenerezza, il gioco, c'è legame. 
C'è una bellezza nitida e grezza, senza edulcoranti. Mai gretta.

Ci sono i diritti inviolabili di anima e corpo.

Catturando scatti di essere - Being è il titolo di una delle due serie fotografiche esposte -  Muholi decostruisce lo stereotipo di donna necessariamente eterosessuale, ipersessualizzata e attraente come  moda e pornografia  comandano. 
Il nudo di Muholi è racconto di una scena e trasperenza dell'amore che la abita, per questo è   tutt'altro che o-sceno.

In Le cose dell'Amore, Umberto Galimberti scrive:
Il corpo spogliato e artificialmente prodotto per la seduzione non dispiega una scena intorno a sé, cui anche le cose dicono le sue intenzioni, ma è semplicemente messo in scena, e perciò è o-sceno, perchè offerto secondo quelle regole del gioco che lo fanno più nudo di quel che sia. Nudo della nudità di quel cerimoniale erotico che rende il corpo inespressivo, perchè ogni espressione è demandata alle vesti, agli accessori, ai gesti, alla musica, alle luci (...) per creare il desiderio al solo scopo di arrestarlo davanti alla messa in scena, dove non si celebra la trascendenza del corpo ma la sua opacità
                                                                                                (U. Galimberti, 2004. Feltrinelli, p. 79) 

Le fotografie esposte a Palazzo Ziino dicono molto non solo della coppia, ma anche della fiducia nell'artista, Zanele Maholi, capace di uno sguardo che contiene, celebra e racconta, senza mai violare né ostentare.
Immagini dense di un'intimità quasi contagiosa, capace di evocare nello spettatore le memorie corporee dei legami d'amore a cui deve la propria consistenza.


Ecco alcune delle fotografie della serie Being.

La potenza di queste immagini vale più di mille argomentazioni contro le mistificazioni di chi pontifica sull'amore e sulla libertà di essere.






 Qui altre info sulla mostra a Palazzo Ziino.

Zanele Muholi   Contemporary Visual artivist

giovedì 14 febbraio 2013

Amore scalzo


"Sto attento a parlare con te, per non pestarti i piedi.  
Non è come nel ballo, è come su un sentiero di pietra che ha un pò d'erba cresciuta nelle giunture. E' forte ma cerco lo stesso di non sciuparla e faccio passi accorti. 
In case musulmane si lasciano fuori le scarpe e io faccio così con te." 


                                                             Erri De Luca, Tre Cavalli. Feltrinelli


Lorenzo Mattotti
Dedicata ai Compagni delle donne amate così.
Grazie a loro crediamo che l'antagonismo tra i generi sia un'invenzione culturale destinata a tramontare.

lunedì 11 febbraio 2013

Osterie a destra e a manca


Italietta: ora ci si mette pure Neri Marcorè.

"Meno male che almeno c'è lei, a' Carfagna elettorale, che qualcosa ci tira sempre su" dice il comico, che ieri sera a Ballarò sostituiva Crozza per la copertina.
Carfagna esprime disappunto per la battuta da osteria e chiede spiegazioni. 
Floris le cita, ridanciano, la battuta pomeridiana del suo leader sull'impiegata "che viene e chissà quante volte viene" ecc. 
(Cliccate Qui per vedere il video, se ve lo siete perso).
Lei giustamente risponde con una domanda: "E questo autorizza forse  un suo comico a fare una battuta da osteria su di me?"
Qui il video.
Floris ci mette un pò a scusarsi per conto di Neri Marcorè. Alla fine lo fa, ma non rpima di averle ricordato che Silvio ha dimostrato, fino al pomeriggio, di saper fare molto di meglio in fatto di battute da osteria.

L'antifona che oggi si ripete in moltissimi commenti all'episodio è più o meno questa:  "Carfagna - l'ipocrita, la soubrette, la Ministra, diventata tale in cambio di chissaché - se lo merita.

Certo è che se per mare non ci sono taverne, in Italia invece non ne mancano, né a destra né a manca e, benché si facciano concorrenza, si ha spesso la netta sensazione che appartengano allo stesso consorzio, che che ne dicano i vari esercenti.

C'è una linea di continuità tra battute di questo tenore e i numeri della violenza di genere, una linea che passa per la costruzione e reiterazione di una rappresentazione ipersessualizzata e mortificante del femminile, in ogni campo: dalla politica allo spettacolo.
Tra scherzi, facezie, discorsi semi-seri e frasi buttate lì distrattamente giorno dopo giorno costruiamo un immaginario  condiviso. Tutto cementifica in quello che diventa il quadro di riferimento entro cui ci muoviamo. 

Lo sguardo di chi liquida  il disappunto di Mara Carfagna come quello di "una zoccola che se lo merita"  non è poi troppo lontano da quello di chi trova attenuanti per la violenza maschile nell'aggressività o nella seduttività di una donna, o ancora, nell'ostinazione a rimanere con chi la maltratta. 
Capita alle donne pluriabusate perfino di sentirsi dire che evidentemente "sono loro ad indurre in chiunque capiti loro a tiro un certo tipo di modalità relazionale, per via delle loro caratteristiche".
Tra le migliaia di donne che subiscono maltrattamenti ci sono naturalmente anche persone aggressive, provocatorie, autodistruttive, calcolatrici ecc., non per questo la violenza nei loro confronti è in alcun modo giustificabile.
Con buona pace di chi condanna la violenza sulle donne solo quando è possibile immaginarle  come fragili fiori recisi o candide colombe sporcate dal bruto, 

Non voglio certo sostenere che Mara Carfagna sia una donna abusata o raggirata, naturalmente.
Certamente però la violenza di genere trova terreno di coltura nella stessa cultura maschilista che permette anche ad un uomo intelligente come Neri Marcorè di parlare in questi termini all'ex ministro Carfagna. 
Ai molti e 'meritevoli' politici uomini, qualunque sia stato il modo in cui hanno conquistato quel ruolo, ben più raramente vengono indirizzate battute a sfondo sessuale. Lo stile da osteria italica è una delicatezza riservata alle donne, anche in politica.

Chi sostiene di poter criticare, o addirittura di volere cambiare, l'Italia di oggi - comico, giornalista o politico che sia - pensa forse di poterlo fare usando qua e là, quasi 'distrattamente', lo stesso stile becero di chi l'ha ridotta così?

Vi propongo, di seguito, una parte dell'articolo scritto oggi da Giovanna Cosenza sul Fatto Quotidiano:
"Penso che Berlusconi, gli applausi che si è guadagnato su quel palco e i sorrisetti imbarazzati della giovane donna ben rappresentano il machismo ammuffito di molti italiani e l’incapacità di molte donne di reagirvi in modo adeguato, specie se la muffa sta su un uomo di potere. Ma penso pure che chi insiste nell’alludere al passato di Mara Carfagna come donna “da calendario” – politico o comico che sia – si qualifica come appartenente o connivente allo stesso machismo stantio. Sei un avversario politico di Mara Carfagna? E allora critica ciò che propone e fa come donna politica. Vuoi fare satira? E allora inchiodala alle inconsistenze e ai tic di ciò che dice,evitando ogni allusione alla sua avvenenza e al suo passato da soubrette. Perché evitarli? Perché altrimenti abbassi il livello della satira, visto che è ben più difficile far ridere sui contenuti e sulle parole dei politici, che sul loro corpo. Inoltre finisci per mostrare a tuo danno, come è accaduto ieri a Marcorè, che un po’ di muffa machista ce l’hai addosso pure tu."
(E' possibile leggere l'articolo per intero sul blog DIS.AMB.IGUANDO - Giovanna Cosenza)



sabato 9 febbraio 2013

La Chiesa in salotto, tra le amiche.


Facendo zapping pomeridiano, sono finita tra Le amiche del sabato, una trasmissione di Rai uno.
Si parla di divorzio e qualcuno accenna alla possibilità che rimanere insieme benchè non si vada d'accordo, possa essere una scelta d'amore per il benessere dei figli.

A questo punto, un prete salottiero (si vede davvero molto spesso nei talk) - tale Don Mario - dice più o meno queste parole:
"Io sono figlio di un divorziato e di una signorina, nonostante questo sono venuto su  'stupendamente formato' da genitori che pur non potendo prendere la comunione, pregavano e mi hanno educato bene ecc. (..). Mia madre comprendeva mio padre, anche se lui a volte era violento. Lo accettava per amore, per il bene dei figli."

Qualcuno, tipo Luca Giurato (vedi tu in chi si deve sperare per riavere in studio un minimo di buon senso), fa notare che questo vuol dire distruggere una donna, che non è questo che vorremmo intendere per Famiglia e che vien proprio da dire Evviva il divorzio. 
Lui, il prete, risponde che questo tipo di affermazioni non le può accettare.

Non cadiamo certo dal pero. Conosciamo tutti la posizione della Chiesa sul divorzio e i miliardi di "si, ma" sull'autodeterminazione femminile, oltre che i no più o meno netti.
Ma a voi sembra normale che un opinionista-prete dica queste cose su Rai Uno, durante una trasmissione con pubblico prevalentemente femminile?
Vi sembra tollerabile che si porti il padre violento e la madre che non sa di poter dire Basta senza perdere valore agli occhi del suo Dio come esempio di famiglia  in grado di "stupendamente" formare?

Sarebbe questa la Chiesa reale, quella che prende le distanze dalla pecorella smarrita - o meglio 'scheggia impazzita' - Don Piero Corsi? 
Sarebbe questa la parte migliore, quella moderata, che conviene mandare a far presenza in tv, perchè anche i media sono strumento di diffusione della buona novella e della gioia cristiana e magari, con l'occasione, si fa pure un pò di  innocente marketing?

Vorrei che i cattolici parlassero, vorrei che in tanti prendessero le distanze da questa chiesa tronfia da salotto. 

Forza e poesia del caso

Ho visto da poco Paperman, il nuovo cortometraggio Disney giustamente candidato all'Oscar con i suoi 6 minuti intrisi di fascino.
L'ho quasi subito associato ad una poesia di Wislawa Zsymborska.

Con immagini splendide che fondono la bellezza vivida del disegno a mano con la raffinatezza delle tecniche più avanzate di animazione digitale, il corto mette in scena un fortuito amore a prima vista, raccontando proprio  il momento della "scintilla" e la forza magnetica che questa è in grado di muovere perché quel che deve essere, sia.

Nella poesia di Wislawa c'è ancora di più: c'è il 'prima' della scintilla.
Per questo, se volessimo, idealmente potrebbe essere un pò il "prequel" di Paperman.

Eccola:

Amore a prima vista

Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.

È bella una tale certezza
ma l'incertezza è più bella.

Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano -
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
Uno "scusi" nella ressa?
Un 'ha sbagliato numerò' nella cornetta?
- ma conosco la risposta.
No, non ricordano.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.

Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all'altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell'infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.
Wislawa Zsymborska



E per chi non avesse ancora visto il cortometraggio Disney, ecco il video:




da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-101440?f=a:924>

domenica 3 febbraio 2013

Tutta un'altra storia. Favole per raccontare le differenze


Illustrazione di S. Crisà
Che ne sarebbe stato di voi se foste nati con due piedi destri? O se, scuri e piccoli come chicchi di caffè, vi foste ritrovati per genitori due alte margherite bianche che parlano il linguaggio dei fiori? 
E se invece foste venuti al mondo senza naso, o con un corpo splendente, ma tutto di vetro? 


Di certo sarebbe stata tutta un'altra storia.

Proprio questo è il titolo di un libro di favole fresco di stampa, che  segnalo agli appassionati di differenze.

Il libro, edito da Erickson, si propone di offrire a genitori ed educatori uno spunto per parlare ai bambini fra i 3 e i 6 anni della diversità.
Le differenze, ingredienti indispensabili per ogni storia che si rispetti, qualche volta sono difficili da accettare. Il trucco è comprendere che più che spiegate vanno raccontate e più che accettate vanno ascoltate, perché - come scrive Elisabetta Maùti, l'autrice di queste 10 piccole storie -"l'altra faccia della diversità è il conformismo, dove siamo proprio come gli altri ci vogliono e non abbiamo la possibilità di diventare unici per nessuno."
S. Crisà. Il lungo volo del chicco di caffè


Qui  potrete avere un assaggio della prima storia "Il principe con due piedi destri".

Due piedi destri sono certamente troppi per uno sguardo strabico, da troppo tempo abituato a fissare solo due stanchi e distinti punti: "normale" da un lato, "anormale"dall'altro; ma non saranno un rompicapo per chi volesse provare la vertigine di uno sguardo diverso, di ben più ampia veduta.
Se si appartiene alla nobiltà e si ha un briciolo di potere legislativo,  si potrà mettere al bando il piede sinistro o chiudere tutti i piedi del regno in scatole da scarpe gemelle, per editto del re, ma in fondo si fa prima e meglio a capire che "tante malattie nascono e vivono solo negli occhi di chi li vede" e a fare a meno di censure.

Le differenze, più che tollerate, vanno scoperte.
E raccontate.

Ci sono poi differenze che appaiono fragili come cristalli. 

Sono quelle che necessitano di percorsi più tortuosi  da parte di tutti: di quelli che le incarnano, come di quelli che vorrebbero proteggerle. 
Dalla corda di protezione al cappio, il passo può essere breve. 
L'alternativa è allentare la presa, lasciare andare per lasciar essere e cambiare le corde in nastri, di quelli buoni per danzare, al proprio ritmo, la propria musica. 
In acqua, per aria o sulla terra, dovunque e in fondo a casa, perché dove si  può essere se stessi, si è al sicuro.


Salvatore Crisà. Il bambino di vetro.

Qui troverete altre info sul libro Tutta un'altra storia:
Scheda libro Tutta un'altra storia

Il linguaggio duro della poesia

La poesia contiene una felicità che gli è propria, 
qualunque sia il dramma che essa 
debba illuminare 
(Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, 1957) 

In questi giorni di fermento politico, anzi elettorale (meglio chiamare le cose con il loro nome), penso dovremmo chiederci se qualche aspirante leader abbia posto per la Poesia tra i suoi punti programmatici. 
Non fatico a immaginare il galante Silvio ad elencarci, di fronte ad una lacrimosa D'Urso, le occasioni in cui  ha dato prova del suo 'romanticismo' e dubito - cabaret a parte - che in una qualunque stanza di partito si stia pensando alla Poesia, quella vera e dura, come ad un'urgenza.
Eppure è un salvavita. 
Ed è profondamente politica; sovversiva e ordinatrice, come poche altre attività umane.

Lo dice bene Jeanette Winterson nel suo memoir, un racconto di grande bellezza e intensità sul trauma e sul potere di nominarlo, scandagliando il dolore e la felicità nel suo cono d'ombra.

"Quando sento dire che la poesia è un lusso, o un'opzione, un prodotto riservato alla classe  media colta, che non dovrebbe essere letta a scuola perché non è essenziale, tutte le cose stupide e bizzarre che si dicono sulla poesia e sul posto che occupa nelle nostre vite, mi viene il sospetto che la gente che parla così abbia avuto la vita facile. Una vita dura ha bisogno di una lingua dura perché duro è il linguaggio della poesia. Ecco cosa ci offre la letteratura: una lingua che ha il potere di dire le cose come stanno. Non è un luogo dove nascondersi. E' un luogo dove ritrovarsi.  
(...) Credo nei racconti e nel potere delle storie perché ci permettono di parlare una lingua sconosciuta. Non vediamo ridotti al silenzio. Tutti noi, quando subiamo un trauma, ci ritroviamo a esitare, a balbettare; ci sono lunghe pause nel nostro discorso. Ci è impossibili esprimere quel che abbiamo dentro. E possiamo reimpossessarci della nostra lingua solo attraverso la lingua degli altri. Possiamo rivolgerci alla poesia. Possiamo aprire il libro. Qualcuno è stato lì per noi e ha scandagliato le parole. Io avevo bisogno delle parole perché le famiglie infelici sono cospirazioni di silenzio. Chi rompe il silenzio non viene mai perdonato. Lui/lei deve imparare a perdonarsi."
J. Winterson, 2012. Perchè essere felice quando puoi essere normale, Mondadori .
( pp.18,44) 

La scrittrice inglese Jeanette Winterson