domenica 3 febbraio 2013

Il linguaggio duro della poesia

La poesia contiene una felicità che gli è propria, 
qualunque sia il dramma che essa 
debba illuminare 
(Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, 1957) 

In questi giorni di fermento politico, anzi elettorale (meglio chiamare le cose con il loro nome), penso dovremmo chiederci se qualche aspirante leader abbia posto per la Poesia tra i suoi punti programmatici. 
Non fatico a immaginare il galante Silvio ad elencarci, di fronte ad una lacrimosa D'Urso, le occasioni in cui  ha dato prova del suo 'romanticismo' e dubito - cabaret a parte - che in una qualunque stanza di partito si stia pensando alla Poesia, quella vera e dura, come ad un'urgenza.
Eppure è un salvavita. 
Ed è profondamente politica; sovversiva e ordinatrice, come poche altre attività umane.

Lo dice bene Jeanette Winterson nel suo memoir, un racconto di grande bellezza e intensità sul trauma e sul potere di nominarlo, scandagliando il dolore e la felicità nel suo cono d'ombra.

"Quando sento dire che la poesia è un lusso, o un'opzione, un prodotto riservato alla classe  media colta, che non dovrebbe essere letta a scuola perché non è essenziale, tutte le cose stupide e bizzarre che si dicono sulla poesia e sul posto che occupa nelle nostre vite, mi viene il sospetto che la gente che parla così abbia avuto la vita facile. Una vita dura ha bisogno di una lingua dura perché duro è il linguaggio della poesia. Ecco cosa ci offre la letteratura: una lingua che ha il potere di dire le cose come stanno. Non è un luogo dove nascondersi. E' un luogo dove ritrovarsi.  
(...) Credo nei racconti e nel potere delle storie perché ci permettono di parlare una lingua sconosciuta. Non vediamo ridotti al silenzio. Tutti noi, quando subiamo un trauma, ci ritroviamo a esitare, a balbettare; ci sono lunghe pause nel nostro discorso. Ci è impossibili esprimere quel che abbiamo dentro. E possiamo reimpossessarci della nostra lingua solo attraverso la lingua degli altri. Possiamo rivolgerci alla poesia. Possiamo aprire il libro. Qualcuno è stato lì per noi e ha scandagliato le parole. Io avevo bisogno delle parole perché le famiglie infelici sono cospirazioni di silenzio. Chi rompe il silenzio non viene mai perdonato. Lui/lei deve imparare a perdonarsi."
J. Winterson, 2012. Perchè essere felice quando puoi essere normale, Mondadori .
( pp.18,44) 

La scrittrice inglese Jeanette Winterson

2 commenti:

  1. Ben detto, Louise! Mi sa che domani ti copierò nel mio blog, citandoti opportunamente.

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    1. Essere copiata da una Maestra è un onore ;-)
      Un abbraccio.

      Elimina

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