
Il benvenuto alla stazione è un monitor che segnala la cancellazione di 4 treni.
Mi aspetta un’oretta di afosa attesa, penso.
Già, perché ci sono 35
gradi ed io sono arrivata trafelata, con una valigia appresso ed in
tenuta da ordinario combattimento palermitano: capelli a sanfasò1,
domati alla meno peggio da una forcina storta, “prendisole” e
sandali. Di più non si sopporta.
Ma Trenitalia pare avere
un moto di generosità: eccezionalmente il treno delle 8,08 per
Messina fermerà anche a Bagheria, proprio dove devo andare io.
Qualcuno mi fa capire
che se sono una di quelle che rischia di schiattare lì al caldo per
più di un’ora nell’attesa di un treno utile, posso anche provare
a salire, magari correndo. Grazie assai.
Io non ho ovviamente
obliterato il biglietto, non ho fatto in tempo, ma intravedo il
controllore sulla porta dell’ultimo vagone per cui - ore 8,08 in
punto - cammino spedita verso di lui, così “me lo scrive” -
penso - e non mi fa storie.
“Solo che”, il
gentiluomo comincia a imprecare:
Devi aprire la porta,
che fa non si capisce? Che ci vuole? Il disegnino? Ti pare che
aspettiamo a te?
Il caldo ci fa venire
fuori al naturale.
Ma talè a chistu2!
Mi fermo e, ancora da
lontano, gli faccio notare che è il caso di darsi una calmata anche
perché è Trenitalia che sta offrendo un disservizio, costringendomi
a inseguire un treno in partenza, visto che il mio ed i successivi sono
stati cancellati. Tra l’altro, non ho certo chiesto io di
aspettarmi.
Entro comunque su questo
benedetto treno e porgo il biglietto al gentiluomo agitato perché lo
validi; ancora borbotta con un fare infastidito.
Improvvisamente capisco perfettamente l’espressione “m’acchianò
u sagnu n’tiesta3!”.
Descrive pienamente il mio stato d’animo.
Ripropongo la storia del
disservizio, lui farfuglia infuriato cose che neanche ricordo per
bene: non è vero che ci sono treni soppressi e se anche è vero
non li ha certo soppressi lui, lui deve finire il turno, il treno non
può aspettare i porci comodi di certa gente.. ed altre amenità,
ma non ha molta importanza.
Quello che ha veramente
importanza è il tono: offensivo, saccente, inopportunamente
confidenziale.. con un uso del ostentato tu che non capisco e che mi
irrita sempre di più.
Sembra un padre che
riprende malamente il figlio dodicenne un pò troppo “scanazzato”4 per i suoi gusti.
Le vorrei far notare
che io non sono sua sorella e che non è assolutamente il caso che
lei si rivolga a me in questo modo. Come diavolo si permette? –
dico.
Risposta (quasi urlata): a si? va bene va
bene, intanto tutte queste persone sedute qua ora arrivano in ritardo
per aspettare te! La prossima volta resti a piedi, hai capito?
Chiude la porta della
cabina di comando e mi lascia nel mio brodo tra gli altri passeggeri.
Brodo di “raggia
a’màtula”5
perché l’interlocutore si è sottratto e il pubblico non è
interessato al mio “allattariarmi”, visto che stavolta il
problema non lo riguarda: sono io l’unica persona che avrebbe
dovuto prendere il treno successivo soppresso, loro si trovano
esattamente là dove dovevano stare e rischiano pure di partire quasi
in tempo, visto che sono le 8,10 e due soli minuti di ritardo per la partenza
sono un evento straordinario sulle ferrovie dello stato.
Lo sanno
bene, che che ne dica il ferroviere gentiluomo di cui sopra.
Più tardi mia madre
commenterà: “Vastasu! Però.. il fatto è che da lontano devi
essergli sembrata una ragazzina!”.
L'apparenza della
matricola fuori sede c'era tutta. Ok,d'accordo, ma la cosa dovrebbe consolarmi?
Domande sparse:
- Se da lontano, avesse
visto un uomo, il ferroviere si sarebbe mai sognato di usare questi
toni e questo atteggiamento?
- Se da lontano, avesse
visto una donna “in tiro” (tacchi, stacco di coscia, tubino o
tailleur e complementi d’arredo vari tipici della professionista,
di fascino però), il ferroviere avrebbe trovato “conveniente”
profondersi in un simile saggio di bon ton ferroviario?
E poi le domande per me,
quelle forse più brucianti:
Perché mai l’unica
“provocazione” che sono riuscita a tirare fuori, così..
d’istinto, lì per lì, è stata: “ma mi ha scambiata per sua
sorella?”?!
Che c’entrano le
sorelle? C’è forse una licenza sottile di trattare le sorelle -
soprattutto quelle piccole - a pesci in faccia, dopotutto?
Tanto “un c’è
cuosa6”,
una sorella perdona, ci passa sopra, c’avi a fari?
Evidentemente si, la
licenza c’è ed è pure ben consolidata nell’immaginario comune,
non si spiegherebbero altrimenti battute come “Sé, A tò suoru!”
o “Va riccillu a tò suoru”7
in risposta ad insulti e offese varie.
In fondo avrei potuto
chiedergli se avessimo per caso fatto il militare insieme, nonostante
io non ne avessi memoria. Invece no, lì per lì, dal magma della
raggia è venuta fuori sono la solita sorella e il tentativo di dire
che no, non poteva trattarmi come lei, perché io non sono come lei.
Eppure solo lei ho
trovato dentro me in quel momento. Altro che raffinate riflessioni su
Genere, “Generentole” e dintorni!
In seguito, scrivendo
qui, ho anche fatto qualche “passo avanti”.
Avrete notato che ho
paragonato il ferroviere ad un padre incazzato con il figlio
ragazzino, ma mi chiedo adesso: perché? Forse che la relazione
adulto-bambino è un ambito in cui, tutto sommato, un atteggiamento
così arrogante e sprezzante può essere considerato “accettabile”?
Certo che no, eppure..
E’ un vecchio trucco,
dopotutto: Up- chiama down-. Messaggio ricevuto.
E dalla posizione down-
scatta la guerra dei poveri o delle povere: “io non sono povera
come gli altri (i bambini)/le altre(le donne deboli). Ergo, non mi
puoi trattare così”.
Guerra che non risolve
granché, come tutte le guerre. Ma che la dice lunga su quanto ancora
bisogna combattere, in noi e fuori di noi. Anche quando di “questioni
di genere” e di rapporti di potere ci si occupa tutti i giorni.
Insomma, dall’immaginario
collettivo al savoir fair ferroviario il passo è breve,
andata e ritorno.
Prego, prima le donne
e i bambini! Si accomodino!
Ancora.
Ancora.. si, perché il viaggio è ancora lungo.
DIZIONARIETTO PER NON
SICULI
- A sanfasò: in modo disordinato, "ad muzzum". Pare che abbia origine dal francese "sans façon = alla buona. Il mio sinonimo preferito: “all’ariulè”.
- Ma talè a chistu! Dai questo si capisce!
- m’acchianò u sagnu n’tiesta: mi è “salito”, ribollendo, il sangue alla testa.
- Scanazzato: difficile da tradurre, ma molto trasparente! Amunì! Di solito è sinonimo di "sbandato", "testa calda".. ma si fa presto a dare dello scanazzato anche a chi è troppo vivace/vitale e forse .."sanamente" selvatico" per mettersi in riga.
- Raggia a’màtula: rabbia (in ebollizione), ma inutile, fine a se stessa.
- un c’è cuosa8: non è successo nulla di importante.
- “Va riccillu a tò suoru”: Vallo a dire a tua sorella.
la strada è lunga e il viaggio ad ostacoli,con treni soppressi e partenze arrangiate..anche quando dentro di noi sentiamo chiara la meta, è faticoso.Il ferroviere è il simbolo di quel dannoso rapporto up/down in un tempo lontano e tragicamente presente..
RispondiEliminasorellamente vicina.
simona
Da "sorellina" di genere capisco e condivido al 100%.
RispondiEliminaTi è venuto da rispondergli "mi ha preso per sua sorella", perchè tra i parenti stretti c'è una confidenza maggiore..e poi anche se non è giusto sappiamo che spesso fratelli minori e figli piccoli vengono guardati con una certa "sufficienza" dagli adulti. Comunque fossi in te non starei a troppo a penare per chiedermi cosa avrebbe fatto davanti ad un uomo o ad una donna "in tiro"..se uno è incazzoso o di pessimo umore lo è con tutti
RispondiEliminaCiao Paolo! Grazie per essere ripassato qui nel Mafraj ^_^
EliminaIn realtà quello che mi ha fatto venire il solletico alle mani dopo questa mini-dissaventura, era proprio la questione della "differenza di genere". Secondo me questo qua non è stato solo un episodio di maleducazione. Ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di più specifico di cui ovviamente nè l'incazzoso di turno nè io avevamo piena consapevolezza lì per lì.
Ma dopo, riflettendoci, ho avuto questa chiara sensazione.
Io credo che forse possiamo anche permetterci di considerare la Bellezza come uno sfondo: qualcosa da vivere e da sentire più che da definire.
Ma con il suo contrario - lo "Schifìu", Il Brutto,lo "sfascio" o comunque lo si voglia chiamare - no, non possiamo.
Quello dobbiamo declinarlo, differenziarlo, nominarlo... quello lo dobbiamo "ammuntuare" in tutte le sue sfumature, come si dice in Sicilia.
Credo che non farlo significhi appiattire questioni importanti dentro la solita generica etichetta di "schifìo/maleducazione" e simili.
Accontentarsi del solito "tutto e niente" (in fondo così rassicurante!) ci fa rischiare di rassegnarci alla lamentela fine a se stessa, quella "tanto per" che in fondo non ci interroga personalmente.. e questo è un rischio che credo non possiamo più permetterci.
Ciao Paolo! Alla prossima!
Mi accorgo adesso che manca nel post la traduzione del simpaticissimo verbo "allattariarsi o "allattariarisi".
RispondiEliminaProvo a rimediare.
Allattariarisi = agitarsi in modo abbastanza teatrale (anche se a volte viene usato anche nel senso di "fare baccano dandosi delle arie"). ^_^