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D. Pennac.
Martedì 26 Marzo, lo scrittore riceverà la Laurea
Honoris Causa in Pedagogia all'Università di Bologna
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Riporto qui uno stralcio dell'intervista a Daniel Pennac, pubblicata ieri (23 Marzo 2013) su Repubblica.
Parole preziose...
D. Pennac: Oggi abbiamo bisogno di persone che cerchino di comprendere le paure di un adolescente, prima ancora di insegnargli qualcosa. È questa la funzione del pedagogo. Quando insegnavo cercavo sempre di capire i timori dei miei studenti, proprio perché nella mia infanzia scolastica la paura - di sbagliare, di non essere all'altezza, di non farcela - ha svolto un ruolo capitale. E per non far paura agli allievi, dobbiamo evitare di presentarci come i guardiani del tempio, provando invece a trasmettere loro la felicità che proviamo quando frequentiamo i libri. La lettura a voce alta è uno dei modi che consente di trasmettere questo sentimento di felicità, come pure la sensazione di liberazione che essa procura (...).
Intervistatore: Chi sono i guardiani del tempio?
D. Pennac: I guardiani del tempio sono coloro che confiscano la cultura per se stessi, difendendo i propri interessi e le proprie confraternite, e soprattutto decretando l'indegnità di certi lettori solo perché leggono determinate tipologie di libri. Sono quelli che dai lettori esigono sempre un commento d un giudizio, preferibilmente in sintonia con il loro. Secondo me, invece la letteratura non ha nulla a che vedere con la comunicazione. Nessuno deve essere costretto a comunicare agli altri la natura del piacere procuratogli dalla lettura. La lettura è innanzitutto qualcosa per se stessi. È un rapporto d'intimità tra uno scrittore e un lettore.
Intervistatore: A chi si contrappone la figura del pedagogo?
D. Pennac: Al demagogo da un lato e al mercante dall'altro. Purtroppo nella scuola non mancano i professori demagoghi, quelli che fanno finta di essere degli adolescenti per conquistarsi la simpatia degli allievi. È un atteggiamento che infantilizza sia i professori che gli allievi. In realtà i giovani, hanno bisogno di confrontarsi con degli adulti veri, la cui presenza li aiuti a costruirsi. Gli adulti devono indicare i limiti, spingere allo sforzo intellettuale ed esigere una certa sollecitudine riflessiva. Tutto ciò per insegnare ai ragazzi a riflettere da soli. Il pedagogo è colui che riesce a far sentire agli allievi che l'esercizio dell'intelligenza può essere una fonte di piacere. Il demagoghi invece propongono sempre le soluzioni più facili e soprattutto fanno sempre appello ad un'identità collettiva, una sola per tutti, dove si annulla ogni singolarità. A scuola, ma anche al di fuori, nella corsa al consumismo, nella moda, nella politica e perfino nella pratica artistica. Il demagogo è il pifferaio magico che seduce e ci conduce al disastro.
Intervistatore: Perché i demagoghi oggi hanno tanto successo?
D. Pennac: Perché l'autorevolezza che nasce dall'esempio della singolarità è sempre più rara. È sempre più raro trovarsi di fronte ad un adulto capace di pensare con la propria testa e avere un comportamento indipendente, un adulto che dia l'impressione d'essere veramente se stesso e non il prodotto di mode e pensieri dominanti.
Intervistatore: Il successo della demagogia corrisponde ad una perdita globale di spirito critico?
D. Pennac: Si, ma la perdita globale di spirito critico è figlia del bombardamento pubblicitario televisivo cui sono sottoposti sempre di più i bambini e i giovani. La pubblicità stuzzica in permanenza il loro desiderio di possedere (che in loro viene immediatamente confuso con il desiderio d'essere), trasformandoli tutti in clienti. Il pedagogo deve provare a decostruire questa situazione, tentando di trasmettere il piacere di comprendere, in modo che un allievo possa anche decidere di riflettere invece di passare il suo tempo a consumare, il che è già una manifestazione di spirito critico.
Intervistatore: Ma lo scrittore può anche essere un pedagogo?
D. Pennac: Non è il suo ruolo. Naturalmente dietro lo scrittore c'è un individuo reale che ha delle convinzioni e dei princìpi, ma non è assolutamente detto che ciò debba essere riconoscibile nelle sue opere. Più che pensare a insegnare qualcosa, lo scrittore deve sperare di diventare una compagnia per chi lo legge, nella convinzione che la lettura debba restare sempre un piacere per gli adulti come per i bambini. È pensando a questa relazione esclusiva che lo scrittore affronta ogni volta la condizione meravigliosa e stupita della solitudine di fronte all'oceano della lingua.
Intervistatore: Scrivere per i bambini è un esercizio più difficile?
D. Pennac: In generale scrivo sempre per gli adulti, ma ogni tanto ho bisogno di rivolgermi anche ai più piccoli. In fondo, nella letteratura per l'infanzia e in quella per gli adulti i temi sono quasi sempre gli stessi, come dimostrano le fiabe. Cambia però la scrittura, che è più semplice, ma anche più rigorosa, dato che è sempre alla ricerca della parola giusta e precisa. La semplificazione non deve mai risolversi in perdita di senso.
Utili e illuminanti le riflessioni di Pennac. In particolare sottolineo queste: "In realtà i giovani, hanno bisogno di confrontarsi con degli adulti veri, la cui presenza li aiuti a costruirsi. Gli adulti devono indicare i limiti, spingere allo sforzo intellettuale ed esigere una certa sollecitudine riflessiva. Tutto ciò per insegnare ai ragazzi a riflettere da soli. Il pedagogo è colui che riesce a far sentire agli allievi che l'esercizio dell'intelligenza può essere una fonte di piacere."
RispondiEliminaGrazie, Louise!